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Pietro Morando 1889-1980

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  ....., sulla sua inquietudine, sul suo stesso disordine sotto la scorza della routine quotidiana. Il che non esclude, magari, un filo di ironia, che è però come un ammiccare a emozioni più intime nascoste da quel velo pudico. Siano i vagabondi tante volte dipinti, siano i facchini, i mendicanti o gli ospiti degli alberghi dei poveri, insomma tutti i poveri diavoli che Morando osservava con commossa partecipazione, per quel tanto di disperato e di alieno intimamente connesso alla loro naturalità. Si è spesso parlato di «populismo» a proposito di questi quadri: ma sarà il caso di accompagnare questa definizione con l'aggettivo «austero» se non si vuole trascurare la compresente severa memoria di un dolore intimamente sofferto, bene espresso, d'altronde, dallo stesso segno aspro, scabro, dai toni freddi, lividi, evocativamente drammatici. Ed è passando dalla considerazione di questi presupposti morali all'esame dei risultati estetici che è possibile rilevare la serietà dell'impegno dell'artista alla spiritualizzazione e idealizzazione in termini rigorosamente pittorici degli aspetti e dei personaggi del mondo reale oggetto della sua osservazione. Un impegno che Morando filtra in una sensibilità oltre il convenzionale, e al tempo stesso in una fantasia un poco nostalgica, nei risultati migliori sciolta in risonanza di vera pittura. Lo stesso linguaggio, del resto, se pure come si diceva non estraneo agli apporti della cultura, col passare degli anni si fa più chiaro, semplificato in stesure più esplicitamente secche, affidate in modo più scoperto ai valori di una geometria ridotta all'osso. In parecchi quadri gli algori di queste strutture rigide, quasi meccaniche, indicano lo sforzo dell'artista per superare ogni possibile riferimento decorativo o aneddotico e raggiungere un difficile equilibrio tra realtà e poesia: col risultato, magari, di realizzare una pittura non priva, talvolta, di una referenza letteraria, ma come un sottofondo in sordina rispetto all'attenzione primaria rivolta a quelli che sono i problemi struttivi, gli spazi, i ritmi formali e cromatici. Così come viene rappresentata in questa mostra la pittura di Morando ci appare nei suoi sviluppi degli ultimi decenni, cioè dagli inizi degli anni Quaranta agli anni Sessanta avanzati (il quadro più vecchio è del 1940, il più recente «Vicolo dell'erba» è del 1968). Non è stata, questa, una scelta predeterminata ma legata alla necessità di fronte a qualche rifiuto di prestiti o accesso impossibile a opere dei decenni precedenti. Ed è certo un peccato, se pure è ugualmente possibile, grazie anche ai disegni, individuare caratteri e svolgimenti e trapassi dell'arte di Morando. E infatti di fronte a 10 o 12 quadri a olio sono esposti una trentina di bianchi e neri, dal 1915 al 1962, capaci di sufficientemente chiarirne valori e vicende. Disegni che spesso non sono ne prime idee ne schizzi in vista di una successiva realizzazione pittorica, bensì concepiti come espressione di un pensiero grafico a sé stante, nei loro rapporti interni di spazi, di linee, di ritmi del bianco col nero in calibrate valenze di chiaroscuro. Anche nei disegni, nessuna abilità compiaciuta: al suo posto la consueta vena diciamo così primitiva stimolata da un desiderio di essenzialità, che è poi la prosecuzione in linguaggio parzialmente diverso delle ricerche espressive perseguite da Morando nella pittura ad olio. Estratti dal loro contesto temporale, e collocati l'uno vicino all'altro, momenti importanti di un dialogo con sé stesso e coi problemi dell'espressione, fanno ben risaltare rapporti e relazioni di idee nella loro continuità e alla fine consentono di sottolineare i motivi durevoli di una ricerca, il mobile sviluppo di percorso seguito da Morando in tanti anni di lavoro, con inquieta e viva partecipazione, nel bianco e nero come in pittura. E la costante principale io la vedrei proprio in quel segno scarno ma preciso ai fini dell'immagine e ricco di suggestione poetica in una sintesi espressiva che è l'equivalente lirico della realtà circostante. E si può dunque affermare che le opere presenti in questa mostra, siano esse quadri o disegni, ci rendono, nei loro mutui rimandi, una persuasiva testimonianza del lungo lavoro di questo pittore, e del suo modo di interpretare, insieme, le proprie ragioni inferiori e l'esistenza di uomini, cose, natura, anche negli aspetti più marginali dimessi.

Massimo Carrà                                  ottobre 1989
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