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Una soglia di ceramica per la modernità
del mito
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Che la ceramica sia un'arte
oggi non è dato per scontato, al meglio le si riconosce valore di "artigianato
artistico", le si attribuisce un limitato valore d'uso, prevalentemente
decorativo. Per la sua destinazione la si associa all'arredamento e al genere
regalo, per la sua produzione si rischia addirittura di pensarla come un passatempo
creativo per signore.
Vera Quaranta, che ha frequentato il corso di Decorazione all'Albertina come
allieva di Italo Cremona, grande maestro di anticonformismo, ha imparato che
l'arte è innanzitutto intelligenza applicata, quindi esplorazione degli
strumenti e dei materiali del fare, indipendentemente dai generi e dai luoghi
comuni consolidati. Così Vera decide di partire dall'inizio, per via
archetipica, dalla terra stessa, formata e cotta in oggetti che dalla funzione
pratica trasfigurano nella finzione artistica.
C'è in questa scelta, appassionata, un duplice significato: da un lato
l'uso delle tecniche della ceramica ci suggerisce la volontà di far
rivivere una grande tradizione slittata ai margini della pratica artistica
moderna, dall'altro lato le immagini frammentarie del mito che appaiono sui
suoi piatti e sui suoi vasi rievocano il tempo in cui l'opera d'arte era concepita
come mimesi e offerta propiziatrice agli dei.
Vera, vestale contemporanea di modi e miti antichi, dalla classicità
greca ai misteri etruschi, confeziona le sue "offerte di immagini"
con l'impronta di un gusto che Sergio Saroni, in una presentazione del 1989,
aveva definito inequivocabilmente "Moderno", "Déco"
piuttosto che classico. "Moderno" appare infatti il passaggio senza
soluzione di continuità dal motivo decorativo al motivo astratto e
l'intreccio tra il frammento figurativo e il puro gesto o il puro colore.
Epppure, l'anima antica del materiale e del suo trattamento ha infine indotto
Vera ad aprire, in tempi recentissimi, un capitolo inedito del suo lavoro:
sono esposti in mostra due grandi pannelli composti di diverse piastre (realizzate
mediante la sperimentazione a tutto campo delle tecniche della ceramica: maiolica;
smalti; raku, un metodo di cottura giapponese senza ossigeno che brunisce
la superficie fino a un prezioso nero argentato; incisioni e rilievi) che
creano l'immagine di una facciata architettonica. Ispirandosi ad alcune deliziose
piastrelle micenee che appunto riproducevano facciate di case, l'autrice reinventa
l'elemento decorativo nell'ironia di un'architettura atemporale, che nasconde
dietro o dentro le sue finestre e le sue soglie le Oscurità che trattenevano
Euridice; oppure imprime sulle superfici le tracce di un'originale, gioiosa,
archeologia dell'immaginario.
Questo sorprendente campionario d'idee e di interventi sulla materia, nuovo
e antico nello stesso tempo, che restituisce l'autenticità primitiva
del manufatto con i suoi colori caldi e le sue forme irregolari, rimette pienamente
in scena, più dei lavori precedenti vincolati all'oggetto seriale e
a una più misurata formalizzazione dell'immagine, le qualità
artistiche della ceramica e il suo modo singolarmente tradizionale di essere
attuale. La terra di Gea, resa fertile da Demetra, esplorata nelle sue profondità
da Persefone e cotta nelle fornaci sotterranee di Vulcano si tinge dei colori
e dei gesti di un'artista dei confini, Vera Quaranta infatti, come Giano bifronte,
ama stare sulla soglia tra mito e memoria, antico e moderno, astratto e figurativo,
sperimentale e tradizionale, colore e monocromo, decorativo ed espressivo,
eccetera, che è come dire che la sua opera sta nel luogo mediano e
medianico tra il dentro e il fuori, l'ignoto e il conosciuto, i moventi e
le forme dell'arte.
febbraio
1993
Andrea Balzola
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