I
Nature morte come oggetti e nature vive come paesaggi, ma anche figure
come maschere e come volti, partecipi quindi della natura inanimata dell'oggetto
come della natura vivente del soggetto: questo classico repertorio tematico
del pittore viene esistenziato da Lucio De Maria attraverso un intenso,
organico, emozionato immedesimarsi nella struttura interna dell'opera
concepita come aperta tensione di identità e alterila, concretezza
e codificazione, riferimento al reale e messa in scena del simulato; avendo
come grande entroterra storico e simbolico, quindi, la tradizione critica
e civile dell'espressionismo. La sua formazione artistica è avvenuta nella anni Sessanta a Torino. Lucio De Maria è stato allievo del pittore Mario Geliate (che era anche suo collega di lavoro alla Fiat), allievo a sua volta, nella seconda metà degli anni Quaranta a Torino, dell'Alba, l'Accademia Libera di Belle Arti ricordata nell'ottobre e nel novembre scorsi a Collegno dall'associazione culturale Gli Argonauti con una mostra propositiva. Pochi giorni prima della inaugurazione di quella rassegna in cui era tra gli espositori, Gellato cessava improwisamente di vivere. Questa personale di Lucio De Maria è quindi anche un modo di ricordarlo attraverso lo sviluppo di una esperienza che attraverso più di una generazione si collega alla resistenza culturale e civile tra le due guerre e alla sua affermazione tra gli anni Quaranta e i Cinquanta. Gellato operava allora nell'ambito di una tendenza che spaziava dall'espressionismo al realismo e che avrebbe poi interagito, negli anni Sessanta, con l'ala più matericamente evocativa dei naturalismo informale.Insieme ad altre caratteristiche più peculiari, queste trasmissioni transgenerazionali di messaggi e di poetiche costituiscono quindi per Lucio De Maria uno dei punti di riferimento delle opere. E nel loro pluralismo di coinvolgimenti sociali e di visioni l'accento cade, come si è accennato, sulla matrice espressionista. "Il fatto è questo", scriveva un grande interprete di questa tendenza, Hermann Bahr, "l'uomo vuole ritrovarsi. Può l'uomo, ha domandato Schiller, essere costretto a trascurare se stesso per uno scopo qualunque? Imporre all'uomo, contro la sua natura, questo destino è lo sforzo inumano del nostro tempo. Ridotto a un mero mezzo, l'uomo è diventato strumento del suo stesso prodotto: non ha più sensi, da quando è soltanto al servizio della macchina. È questa che gli ha rubato l'anima. E adesso, lui vuole riaverla. Ecco che cosa è in gioco". E ricordava un aforisma di Goethe, secondo cui "L'orecchio è muto, la bocca è sorda, ma l'occhio sente e parla". Questa chiave di lettura applicabile anche (sia pure con le debite distanze storiche di quasi un secolo per i fauves o gli espressionisti tedeschi, e di oltre un secolo per profeti come Van Gogh, Munch od Ensor) al linguaggio pittorico di Lucio De Maria, può trovare un ulteriore suggerimento filologico in una osservazione di Rainer Maria Riike sull'attività visibile dell'artista, cioè sul significato del dipinto, che "è sempre una risposta a un oggi vissuto. L'opera d'arte si spiegherebbe dunque come un'intima confessione che si presenta sotto il pretesto di un ricordo, di un'esperienza o di un avvenimento, ma che, staccata dal suo autore, può esistere da sola". Così un oggetto minimalista oppure un grandioso paesaggio o, ancora, una mascherao un volto che si individuano come autoritratto o come ritratto di Gabriella possono occasionare (ma anche oggettivare) questa problematica (ma anche primaria) esigenza di una esistenziale autenticità. Nella situazione artistica di una città industriale come Torino, poi, tale vena di ricerca e di tentata e sconvolta riappropriazione dell'anima" (secondo la terminologia dell'espressionismo storico) attraverso un sentimento della natura e della figura umana accalorato e drammatico, costituisce anche la ricorrente rivendicazione di una spiritualità sommersa che si confronta con la realtà sempre più sfuggente e inumana di fine secolo e di fine millenio. Per questa strada impegnativa e difficile, c'è stato anche chi ha perso la speranza e ha smesso di dipingere. E chi invece malgrado tutto continua, con ostinata fedeltà a valori ancora immediati ed umani, nella propria assunzione di responsabilità individuali e pubbliche insieme. Come testimonianze, quindi, e come documenti quotidiani di diversi anni di creatività, le opere di Lucio De Maria proseguono la loro esistenza autonoma sulle pareti della mostra. Lucio Cabutti |