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presentazione
di Pino Mantovani
È
un bel percorso quello che ci accompagna dal 1986 al 1999: promotori
del viaggio l'Assessorato alla Cultura della città di Collegno
e l'Associazione culturale «Gli Argonauti», protagonisti
pittori e scrittori, riferimento locale prima la Sala delle Esposizioni
di corso Francia 105, poi la Sala delle Arti nel parco della Certosa
Reale, sempre a Collegno.
Forse a pochi è capitato di seguirlo per intero, il labirintico
percorso, nelle due forme parallele della pittura e della scrittura
sotto la comune insegna del mito. E quando anche tutta la sequenza delle
mostre fosse stata praticata, solo chi avesse avuto la pazienza di raccogliere
e l'ordine di conservare tutti i cataloghi, nonché la memoria
per evocare in limpida compresenza le opere esposte - in parte riprodotte
-, solo costui potrebbe rendersi conto del disegno complessivo (nato
maturo, per dirla secondo mito, come Atena dalla testa di Zeus) e apprezzare
le varianti significative espresse nell'arco di un quindicennio.
A me questa fortuna è capitata, non perché sia paziente,
ordinato e dotato di particolare memoria, ma perché ho potuto
parlare con alcuni animatori dell'iniziativa e rileggere per intero
e senza soluzione di continuità gli interventi in catalogo, firmati
da Giorgio Luzi, Laura Mancinelli, Lucio Cabutti, Paolo Levi, Andrea
Balzola, Paolo Nesta, Aldo Spinardi: tutti convocati a commentare e
divagare sul tema costante, il mito, di volta in volta esemplificato
da un caso specifico (che so, gli Argonauti, Cronos, Eros, Persefone,
Prometeo, Gea...) e rappresentato da quattro artisti, scelti non secondo
il principio della coerenza formale, ma della convergenza almeno possibile
sulla fabula, sempre diversa salvo il ritorno degli Argonauti alla scadenza
del decimo anno.
A distanza di tre lustri, vale la pena di stringere in corto circuito
tutti gli elementi della vicenda, cioè la pittura, la scrittura,
il mito. Semmai rimescolando le parti: non già la pittura e la
scrittura nel mito, mala pittura al vertice, cui venga riconosciuta
qualità mitica; la scrittura sempre con funzione esplicativa,
perfino didattica rispetto al mito della pittura anziché, come
finora, al mito in pittura.
Basta peraltro leggere alcuni dei commenti mano a mano depositati per
verificare che la scrittura raggiunge, può raggiungere, la stessa
«mitica» presenza, la stessa potenza evocativa dell'immagine,
tanto che a volte è stata la parola a farsi protagonista nel
conferire evidenza lampante all'immaginario collettivo, anche attraverso
la decodificazione dei simboli. Per cui si può supporre, fra
quindici anni, una ulteriore edizione che veda protagonista la scrittura,
la scrittura come mito, essendo la pittura ancella, strumento illustrativo
e perché no? critico.
Nel commento che accompagna la prima edizione, Giorgio Luzi, non a caso
un poeta di alto rango oltre che un lettore raffinato dello scrivere
e del figurare, cita a proposito due geniali antropologi:
«Il racconto mitico... fa uso forte del discorso, ma situando
le opposizioni significanti che gli sono proprie su un grado di complessità
più alto di quello richiesto dalla lingua quando funziona per
fini profani» (C. Lévi-Strauss).
«La capacità dell'arte di utilizzare miti per fini non
conservatori si direbbe intimamente legata alle possibilità di
ironia dell'arte: alla facoltà di utilizzare elementi compositivi
con un distacco ironico che non lede la loro vitalità»
(Furio jesi).
marzo
2000 (continua)
Pino Mantovani
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