Una Storia in Pittura - Antologica
1945-2010
GIUSEPPE GROSSO
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prima pag                     Recensione (parte)                                                       per vedere alcune immagini

Nella lenta, simbolica, meditata scansione dei versi di Attilio Bertolucci si innesta il discorso di Giuseppe Grosso, il clima di un dipingere che, dopo l'intensa stagione operaia e della periferia torinese si apre nelle cadenze di una limpida luminosità capace di accendere i soggetti, la natura e quel suo universo ricco di simboli e memorie. E dalla stagione del macellaio e del bevitore, della draga sul Sangone e dei prati in periferia, attentamente indagata da Pino Mantovani, il discorso di Grosso approda a un naturalismo non privo di simboli, di interiori sensazioni, di magici richiami a un colore che si stempera sulla tela con rara sensibilità. La natura diviene, quindi, negli ultimi vent'anni, l'artefice assoluto della rappresentazione che non perde mai di vista il valore della forma, della luce, delle strutture architettoniche che si misurano con ulivi nodosi e rami frondosi ed eucalipti.
Socio fondatore della Cooperativa "Arti Visive "78", esponente della Associazione Culturale "'Gli Argonauti" di Collegno, docente di pittura, disegno e incisione, l'artista offre in questa ampia mostra antologica gli elementi essenziali del suo discorso, di quel ripercorrere le strade di una ricerca libera da ogni condizionamento dell'attuale società, ma pronta a mettere in evidenza un universo di incantamenti atmosferici senza mai dimenticare gli esordi, i momenti drammatici della guerra partigiana, la sorprendente bellezza di una natura reinterpretata con la leggerezza di un tocco estremamente controllato.
"La trasmutazione dell'elemento naturale (e naturalmente reperito, perché Grosso è tra i pochi che ancora assegnano al disegno dal vero l'atto preliminare dell'idea" del quadro) e articolata in una metamorfosi del tema verso essenziali simbologie, che hanno il loro comun denominatore nel tema concetto di temporalità...". (Franco Fanelli).
E il fluire inesausto della linea fìssa un balcone plagiatore con vasi di fiori e rampicanti, una vecchia acacia, una siepe che divide l'ambiente, in una sorta di recupero della realtà, ma anche del sogno, della trama cromatica, delle foglie esposte al sole. L'esercizio della pittura assume così una valenza fortemente espressiva, una solarità vivace e accattivante, una possibilità di uscire da schemi precostituiti per entrare nel mondo del racconto e di una suggestiva narrazione. Talora, leggendo i titoli delle opere, si avverte la sottile ironia che appartiene al suo cammino, alla visione dell umanità, alle affioranti sofferenze di un passato che riemerge con insistenza, pulsante, inafferrabile: "I "balconi fioriti' -ha scritto Floriano De Santi - diventano la summa della pittura di Grosso".
Non li dipinge "en plein air"; guarda nella mente: raffigura tutte le immagini, i colori e i riflessi e forse i suoni che vi ha raccolto durante una vita d'artista traendone le ultime modulazioni. Non esiste più altra realtà: nient'altro che quei fiori, dove i segreti dell'universo si sono concentrati…"
Il suo universo va oltre al vero, per declinare emozioni purissime, per accedere alle rarefazioni metafisiche, per sgombrare il campo da scuole e correnti e tecniche innovative e pervenire a soluzioni tecniche che gli hanno permesso di elaborare dipinti dal fascino "antiromantico nel rifiuto di ogni effusione, freddo e cristallino nella definizione mentale degli "oggetti" (Mario De Micheli).
E dalla profondità dello sguardo dell'"Autorilratto" (1947) ai "Pini in riva al mare" del 2007, da "Arborescenza" del 1990 a "Campi di girasoli" del 2009, si individua l'essenza di un dettato che ha le sequenze di un diario intimo, raccolto, improntato da quella sua scrittura che unisce un grande tronco sulla spiaggia a un groviglio di radici, un albero brucialo alla vegetazione di "Verso le sorgenti del Mignone".
Più di sessant'anni di studi, di attività, di presenze in rassegne a carattere nazionale ed internazionale costituiscono il "corpus" della vicenda di Grosso che ha esposto a Torre Pellice, nelle collettive promosse da Filippo Scroppo, a New York, a Praga con gli "Artisti italiani" e a mostre caratterizzate da un profondo impegno sociale. Vi è, soprattutto, nella felice resa della rappresentazione un dire in cui ha rilevato
Paolo Levi sin dal 1974 si ravvisa una estrema essenzialità, dove dai balconi "penzolano frutti irrangiungibili, tutto cristallizzato, come se il tempo, ad un tratto, si fosse fermato". E nel gioco delle tarsie cromatiche della luce, dei segni significanti, si definiscono gli aspetti di una creatività dalla nitida interpretazione di quanto Grosso ha ripreso in Piemonte e nella terra dell'alto Lazio, dove abitualmente soggiorna in alcuni mesi dell'anno. L'uomo, l'artista, la cultura, sono, in sintesi, i punti determinanti della personalità di Grosso che, pur lavorando in modo appartato e schivo, ha trasformato le immagini quotidiane in poetiche rivelazioni, in appuntamenti espositivi, in un alternarsi di prati, di vedute maremmane, di lembi di mare, che rinnovano una "storia in pittura" alta, avvolgente e vitale nell'incanto di un'alba che annuncia le ore, i giorni e i silenzi della notte.


Angelo Mistrangelo

 

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