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prima pag Recensione
(parte) per
vedere alcune immagini
Nella lenta, simbolica, meditata scansione dei versi di Attilio Bertolucci
si innesta il discorso di Giuseppe Grosso, il clima di un dipingere
che, dopo l'intensa stagione operaia e della periferia torinese si apre
nelle cadenze di una limpida luminosità capace di accendere i
soggetti, la natura e quel suo universo ricco di simboli e memorie.
E dalla stagione del macellaio e del bevitore, della draga sul Sangone
e dei prati in periferia, attentamente indagata da Pino Mantovani, il
discorso di Grosso approda a un naturalismo non privo di simboli, di
interiori sensazioni, di magici richiami a un colore che si stempera
sulla tela con rara sensibilità. La natura diviene, quindi, negli
ultimi vent'anni, l'artefice assoluto della rappresentazione che non
perde mai di vista il valore della forma, della luce, delle strutture
architettoniche che si misurano con ulivi nodosi e rami frondosi ed
eucalipti.
Socio fondatore della Cooperativa "Arti Visive "78",
esponente della Associazione Culturale "'Gli Argonauti" di
Collegno, docente di pittura, disegno e incisione, l'artista offre in
questa ampia mostra antologica gli elementi essenziali del suo discorso,
di quel ripercorrere le strade di una ricerca libera da ogni condizionamento
dell'attuale società, ma pronta a mettere in evidenza un universo
di incantamenti atmosferici senza mai dimenticare gli esordi, i momenti
drammatici della guerra partigiana, la sorprendente bellezza di una
natura reinterpretata con la leggerezza di un tocco estremamente controllato.
"La trasmutazione dell'elemento naturale (e naturalmente reperito,
perché Grosso è tra i pochi che ancora assegnano al disegno
dal vero l'atto preliminare dell'idea" del quadro) e articolata
in una metamorfosi del tema verso essenziali simbologie, che hanno il
loro comun denominatore nel tema concetto di temporalità...".
(Franco Fanelli).
E il fluire inesausto della linea fìssa un balcone plagiatore
con vasi di fiori e rampicanti, una vecchia acacia, una siepe che divide
l'ambiente, in una sorta di recupero della realtà, ma anche del
sogno, della trama cromatica, delle foglie esposte al sole. L'esercizio
della pittura assume così una valenza fortemente espressiva,
una solarità vivace e accattivante, una possibilità di
uscire da schemi precostituiti per entrare nel mondo del racconto e
di una suggestiva narrazione. Talora, leggendo i titoli delle opere,
si avverte la sottile ironia che appartiene al suo cammino, alla visione
dell umanità, alle affioranti sofferenze di un passato che riemerge
con insistenza, pulsante, inafferrabile: "I "balconi fioriti'
-ha scritto Floriano De Santi - diventano la summa della pittura di
Grosso".
Non li dipinge "en plein air"; guarda nella mente: raffigura
tutte le immagini, i colori e i riflessi e forse i suoni che vi ha raccolto
durante una vita d'artista traendone le ultime modulazioni. Non esiste
più altra realtà: nient'altro che quei fiori, dove i segreti
dell'universo si sono concentrati
"
Il suo universo va oltre al vero, per declinare emozioni purissime,
per accedere alle rarefazioni metafisiche, per sgombrare il campo da
scuole e correnti e tecniche innovative e pervenire a soluzioni tecniche
che gli hanno permesso di elaborare dipinti dal fascino "antiromantico
nel rifiuto di ogni effusione, freddo e cristallino nella definizione
mentale degli "oggetti" (Mario De Micheli).
E dalla profondità dello sguardo dell'"Autorilratto"
(1947) ai "Pini in riva al mare" del 2007, da "Arborescenza"
del 1990 a "Campi di girasoli" del 2009, si individua l'essenza
di un dettato che ha le sequenze di un diario intimo, raccolto, improntato
da quella sua scrittura che unisce un grande tronco sulla spiaggia a
un groviglio di radici, un albero brucialo alla vegetazione di "Verso
le sorgenti del Mignone".
Più di sessant'anni di studi, di attività, di presenze
in rassegne a carattere nazionale ed internazionale costituiscono il
"corpus" della vicenda di Grosso che ha esposto a Torre Pellice,
nelle collettive promosse da Filippo Scroppo, a New York, a Praga con
gli "Artisti italiani" e a mostre caratterizzate da un profondo
impegno sociale. Vi è, soprattutto, nella felice resa della rappresentazione
un dire in cui ha rilevato
Paolo Levi sin dal 1974 si ravvisa una estrema essenzialità,
dove dai balconi "penzolano frutti irrangiungibili, tutto cristallizzato,
come se il tempo, ad un tratto, si fosse fermato". E nel gioco
delle tarsie cromatiche della luce, dei segni significanti, si definiscono
gli aspetti di una creatività dalla nitida interpretazione di
quanto Grosso ha ripreso in Piemonte e nella terra dell'alto Lazio,
dove abitualmente soggiorna in alcuni mesi dell'anno. L'uomo, l'artista,
la cultura, sono, in sintesi, i punti determinanti della personalità
di Grosso che, pur lavorando in modo appartato e schivo, ha trasformato
le immagini quotidiane in poetiche rivelazioni, in appuntamenti espositivi,
in un alternarsi di prati, di vedute maremmane, di lembi di mare, che
rinnovano una "storia in pittura" alta, avvolgente e vitale
nell'incanto di un'alba che annuncia le ore, i giorni e i silenzi della
notte.
Angelo Mistrangelo
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