Liberamente tratto da Esiodo, Ovidio e Plutarco, attraversando la storia dell'arte
Nati senza seme: i fiori erano le prime
creature del mondo ad essere accarezzate da Zefiro, con tiepidi soffi, in
un'eterna primavera. Inspiegabilmente, un miele stillava direttamente dalla
vegetazione, in una bizzarra simbiosi con la pianta. La terra non era arata,
nessun argine costringeva le acque: mai stanco, tuttavia, il suolo produceva
spighe biondeggianti, mentre nettare e latte scorrevano in spumeggianti
torrenti. Appagato dalla natura circostante, l'uomo traeva spontaneamente
linfa per la propria libertà, per la conseguente giustizia e per
un continuo ozio, piacere prolifico, creativo e sano. L'immaginazione non
era in lotta con la realtà. La fantasia generava miti: semidei, ninfe,
satiri si aggiravano intorno alle sorgenti, si rincorrevano sulle colline,
in un legame indissolubile tra verità e finzione, tra memoria e racconto.
Potere delle pacificate divinità! Sostenuto da Kronos, l'equilibrio
garantiva una morte dolce. Gli abitanti della terra gioivano per l'intera
esistenza e concludevano la loro vita come abbattuti da un sonno profondo,
che li coglieva fiaccamente, con dolcezza. Sconfitto durante la rivolta
guidata dal figlio Zeus e imprigionato nel Tartaro, il padre dell'Olimpo
perdeva improvvisamente il controllo sulla terra e sul cielo. Tutto cambiava:
la mite stagione perpetua si divideva in quattro periodi, con climi diversi,
torridi o umidi, gelidi o secchi. Le correnti si separavano. Euro regnava
a levante, sui monti di Persia; Austro governava le piogge a meridione;
Borea fischiava agghiacciante a settentrione. L'occidente diventava dominio
di Zefiro, che mitigava le coste quando il sole tramontava. Da questo momento
di scissione dei venti, la personificazione della brezza di ponente iniziava
a viaggiare tra le braccia di Clori – riapparsa più tardi,
per teofania, nelle sembianze di Flora – o a involarsi leggera dal
petto dell'amato Giacinto.
Tornato come simbolo di ferinità e di amore bestiale in Botticelli,
come armonizzazione d'istinti in Sebastiano Ricci, come trionfo del volo
per Giovanni Battista Tiepolo, il suo nome si ripresenta al plurale, sereno
e secolarizzato, per cantare nella sera di Ugo Foscolo. Immerso nel realismo
soffuso di William-Adolphe Bouguereau, Zefiro simboleggia una sintesi moderna
di sacralità, bizantinismo estetizzante e caratteristiche preraffaellite.
Nel Novecento, la sua immagine pare eclissarsi, per lasciare spazio a generiche
divinità del viaggio, ad allegorie del progresso irrefrenabile, ad
avanguardistici voli pindarici, ad aeree e fallimentari fughe da dedali
di relazioni.
Gli Argonauti, nel loro doppio ruolo di associazione e progetto didattico,
ne propongono nuove versioni, coinvolgendo pittori e ceramisti contemporanei.
L'effusione rarefatta di significati all'interno della pittura narrativa
di Gioxe De Micheli equivale all'enunciazione
di una parabola enigmatica. Resta muta e opaca per intelligibilità,
mentre si presenta eterea nella forma, gassosa nella rappresentazione, leggiadra
nei movimenti. Scapigliata da uno spiffero, agitata da una perturbazione
e sbalordita da un vuoto d'aria, la messinscena avvolge sapientemente un
carattere esemplare, un'enunciazione di validità universale. L'opera
di Marco Piva combatte, dialetticamente,
con una calma piatta all'orizzonte. Le figure, nature morte o ritratti,
sembrano fissare lo spettatore da un particolare stato di interazione con
la luce. Colpite e ammaliate, le cose anelano a uno stadio di comunicazione
superiore: ci raccontano di una scoperta stupita, di un piccolo passo al
di là dalle sembianze convenzionali. Modulando un'identità
di volta in volta più consapevole, esternano un sottostante strato
di vigorosa consapevolezza. Le ceramiche di Tonino
Negri inscenano un'archeologia della coscienza. Le forme –
vasi, fonti, uomini e donne, animali, arche – riescono a contenere
un'energia primordiale – un soffio simbolico – prima ancora
di mostrarsi. Forti ed archetipiche, vengono generate in una salutare linearità
del disegno e attraverso una saggia sintesi del dettato poetico: tra ideale
condivisione comunitaria e raccolta spiritualità. Carlo
Zoli rappresenta figure umane come anime sperdute su paesaggi spazzati
dal vento, tanto invisibili quanto percepibili dall'intera gamma dei sensi.
Plasmati da un fuoco sacro, immersi nella meraviglia, questi personaggi
sembrano percorrere vie di pellegrinaggio medioevali. Su creste battute
dal maestrale, viaggiatori carichi di decoro e modulati da una dolorosa
forza esteriore, attendono la calma della sera per concedersi al mistero
del sonno.
Ivan Fassio
Il Mito di Zefiro