Un mito per una mostra: Crono
Sebbene Crono risvegli in noi immediatamente l'idea del tempo, del suo scorrere implaccabile o per opposizione l'immagine di una atemporalità immobile e perpetua, in realtà l'identificazione della antichissima divinità ellenica con il dio del tempo è relativamente recente ed e, per intenderci, l'ultimo atto del grande mito di Crono. Figlio di Urano e Gea, il cielo stellato e la terra, egli era l'ultimo dei Titani, il più giovane della serie di figli generati dalle due divinità primordiali, e dal padre nascosti nelle profondità della terra stessa.
Questo enigmatico, e tuttavia simbolico, odio del padre per
i figli si riproduce nella vicenda di Crono: sottratto dalla madre al destino
degli altri fratelli Titani, Crono non solo li libera dalla loro prigionia,
ma compie sul padre una emblematica vendetta evirandolo. Divenuto rè
dell'universo, sposa la sorella Rea, e avvertito da una profezia che uno dei
suoi figli lo avrebbe detronizzato, a mano a mano che nascono li inghiotte.
Oscuri sono i significati del ripetersi di questo annullamento dei figli:
certamente vi si può leggere un tentativo di arrestare l'evolversi
delle vicende terrestri che tendono fatalmente ad instaurare il regno degli
uomini distruggendo il regno degli dei.
E in questo è implicita anche la volontà di impedire il flusso
del tempo bloccandolo in una fase che precede l'inizio della storia.
Il regno di Crono è infatti la mitica età dell'oro che precede
ogni esperienza umana, l'età primigenia di una felice e intatta infanzia
del mondo. Ma anche per Crono viene la rivolta e la vendetta dell'ultimo figlio,
Zeus, sottratto dalla madre alle fauci paterne, allevato nell'isola di Creta
dalla capra Amaltea, protetto dai guerrieri Cureti che coprirono i vagiti
del neonato con il rumore delle armi cozzanti. Zeus detronizzerà ed
esilierà Crono, sposerà la sorella Era, e porrà fine
all'età dell'oro.
Il tempo comincia a scorrere secondo il ritmo degli uomini, scandito da guerre,
fatica, nascita e morte.
Il mito di Crono si conclude appunto con la sua identificazione col tempo,
e per i latini con il dio Saturno.
Ambiguo e molteplice come è, il mito di Crono si presta a interpretazioni
molto disparate, talvolta opposte: è l'assenza di tempo, lo sguardo
fissato per sempre nelle pupille immobili del cardinale ritratto da Lorenzo
Lotto modernamente interpretato da Sergio Saroni, è il ripetersi sempre
uguale del corso del sole suggerito dalle aperture del vecchio portico di
Vincenzo Gatti, da cui la luce penetra con la durezza di una pietra immobile
ed eterna; ma è anche, per contro, la fuga inarrestabile e inafferrabile
del tempo nei "periodi" di Francesco Franco, segni trascinati da
un vento cosmico che non cessa mai.
E anche però l'età dell'oro dei "fichi neri" di Mario
Calandri, pienezza e dolcezza che erompono dalle bucce spaccate, perfezione
sferica dei chicchi d'uva, che anche l'immancabile insetto calandriano sembra
rispettare.
Nelle opere dei giovani allievi dell'Associazione i simboli acquistano forse
una presenza più insistita: il serpente stilizzato è il tempo
che si chiude su se stesso e si identifica con l'assenza di tempo, mentre
il campo di papaveri, la primavera, allude al ciclo stagionale, anch'esso
un eterno ripetersi circolare pur nella variazione continua, come i cerchi
concentrici della sezione del tronco dell'albero, segni della crescita annuale
ma anche della ciclicità, che nel suo uniforme ricorrere è simile
alla statica assenza di tempo.
Illusione di una perennità da sempre cercata e mai raggiunta, la piramide
e la zigurat sono l'umana sfida al tempo, la sua divina dimensione che l'opera
dell'uomo può sfiorare ma non raggiungere.
Torino, maggio 86 Laura Mancinelli