Quattro pittori, lirici ed inquieti, ognuno nella propria autonomia creativa, hanno narrato, o meglio cantato, il "loro" Orfeo. Mito non facile da chiarire, misterioso. Romano Campagnoli, Nando Eandi, Ettore Fico e Giorgio Ramella, nei loro squisiti racconti dove il rimpianto è costante, hanno messo tutta la loro attenzione nel non disubbidire agli Dèi. Hanno infatti narrato, in questi loro lavori dall'atmosfera sospesa tra il sacro e il profano, i riti del mistero orfico, ma senza superare la soglia dell'Ade. Tutti si sono fermati al limite, dove c'è ancora il respiro della vita. Dietro il mondo in fiore di Fico pare, infatti, esserci l'utopica attesa di un ritorno, quello di Orfeo che tiene per mano Euridice.

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Catalogo
Il Mito di Orfeo
pagina 2/10
1988
Recensione di PAOLO LEVI

A questa inutile speranza risponde Campagnoli con una bufera informale, lirica, un'inquietante espressività del castigo divino.
Eandi, invece, opera trasfigurando le necropoli, da lui tanto amate del viterbese, in un'allusività collegata al mito di Orfeo, con trasparenze simili all'acquarello. Il poeta desolato di Ramella, invece, torna dal viaggio nella notte e pare avviarsi indifeso verso il destino-condanna d'essere ucciso dalle baccanti. Di fronte al mito di Orfeo, questi quattro maestri si sono dimostrati capaci di non farsi cogliere da sottolineature illustrative. Anzi. L'episodio-mito, essi l'hanno vissuto ed interpretato in un'espressività astratto evocativa. Non è facile, infatti, essere artisti del proprio tempo e narrare in chiave contemporanea un'ombra antica, come quella del mistero della morte. Personalmente il mito di Orfeo l'ho sempre vissuto come un grande e struggente episodio, dove per uno strano sogno-inganno, l'impossibile pareva possibile.
Negli anni giovanili, avevo fatto mia questa quartina, dai Sonetti ad Orfeo di Rainer Maria Riike, tradotti da Giaime Pintor:

"Il canto che tu insegni non è brama, / non è speranza che conduci a segno. / Cantare è per tè esistere. Un impegno facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?.
Il mito del "cantore solitario", infatti, ha esercitato sempre un grande fascino su artisti e poeti. A livello di rappresentazione visiva una delle opere, a mio avviso, più tenere e belle è l'Orfeo, Euridice e Mercurio, un bassorilievo del Quinto secolo a.C. ben conservato, visibile al Louvre. Tutti sono stati tentati dal mistero che si cela dietro questo episodio-simbolo, e in modo suggestivo i miei amici Campagnoli, Eandi. Fico, Ramella. Essi hanno avuto presente che la storia antica, dalla mitologia greca al Vecchio Testamento, è spesso la testimonianza di quanto gli Dèi (e Dio stesso) siano severi con l'umana trasgressione. Adamo ed Èva, infatti, sono stati cacciati dal Paradiso terrestre per aver disubbidito il Signore. Così, pure, Orfeo. Egli aveva ricevuto il privilegio, raro, di accedere all'Ade per ritrovare Euridice, ma all'ordine di non voltarsi, volse lo sguardo egualmente e perse definitivamente la sua amata. Così, noi pure, spesso tentati di sondare il mistero della morte, ci ritroviamo ad interrogarci su ciò che Riike chiamava la tragica soglia.

Torino, maggio 1988

PAOLO LEVI