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Catalogo
Il Mito di Prometeo
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1991
Recensione di Andrea Balzola

Prometeo: il fuoco della visione
«Ho regalato loro il fuoco... da esso apprenderanno innumerevoli arti»
(ESCHILO, Prometeo incatenato, 250)


Gli Argonauti proseguono il loro viaggio nel mito greco attraverso le visioni di artisti contemporanei; quest'anno sulla scena della pittura Albano, Gribaudo, Scroppo e Verdiani evocano Prometeo.
Tra gli dèi greci Prometeo è colui che si ribella all'assolutismo di Zeus e che si sacrifica per gli uomini, trafugando e donando loro il fuoco divino. Perciò viene incatenato da Zeus a una roccia e condannato ad avere il fegato continuamente dilaniato da un'aquila (un sacrificio che lo avvicina alla figura del Cristo), fin quando, dopo molte generazioni, viene liberato e "riabilitato" da Heracle, figlio ribelle dello stesso Zeus.
Biasimato da Esiodo e celebrato da Eschilo in una trilogia (della quale ci è pervenuto soltanto il "Prometeo incatenato"). Prometeo diventa per Goethe e per i poeti romantici l'emblema della libertà umana, la sua titanica rivolta contro la tirannia degli dèi incarna l'opposizione tra le forze umane della ragione, della conoscenza, del coraggio, dell'astuzia e della creatività e la forza anti-umana del potere. Ma per i romantici Prometeo è anche il modello del genio artistico - incompreso - che porta agli uomini il fuoco dell'ispirazione, da cui essi apprendono "innumerevoli arti".
Infine, Prometeo significa letteralmente colui che prevede, il preveggente. Egli assume quindi una triplice valenza simbolica, in quanto tramite di libertà, di ispirazione creativa e di (pre)visione, e il suo mito si presta a due letture (di derivazione romantica): etico-politica ed estetica (lasciamo qui da parte l'interpretazione psicanalitica di Bachelard o quella antropologico-religiosa di Kerenyi). In questo quadro, il prometeismo si pone innanzitutto come sospensione e ridefinizione delle regole: la rivolta etico-politica e la pratica artistica sottraggono il fuoco vitale imprigionato dalle istituzioni e dai codici mummificati e tirannici per rigenerere l'azione sociale e l'espressione creativa. Titanismo spesso ingenuo, prevalentemente utopico, talvolta puramente distruttivo, ma nondimeno essenziale per una rinnovata visione del mondo. Come possono allora, oggi, interpretare il mito di Prometeo gli artisti, naturalmente depositari di una vocazione prometeica?
I pittori torinesi presenti alla mostra scelgono due strade diverse per affrontare il soggetto: Albano e Gribaudo rappresentano due momenti del supplizio di Prometeo incatenato e divorato, mentre Scroppo e Verdiani preferiscono evocare il mito attraverso le immagini simboliche del fuoco o della testa dell'eroe sovrastante l'aquila. Nel dipinto di Albano, Prometeo è incatenato a un gruppo di rocce sovrapposte che sembrano formare una croce e che incombono su un mare scuro, assolutamente immobile, seminascosta dietro la roccia l'aquila è in inquietante attesa. Tré fanciulle attorniano Prometeo che uria la sua disperazione (evocano le Okeanidi, le primordiali figure alate femminili che compongono il coro della tragedia di Eschilo): una porta il fuoco sacro, l'altra leva il braccio e la terza, dietro l'eroe, tiene tesa una vela bianca, a cui è ironicamente appeso un salvagente. La tragedia si consuma in un'atmosfera raggelata e sospesa, dove il senso metafisico del mito è testimoniato da una surreale atemporalità, come un ,incantesimo che non si scioglie: quello dell'incessante ed impari lotta dell'uomo contro il suo destino mortale. Gribaudo invece propone una rivisitazione "archeologica" del mito, riproducendo in negativo il particolare di una coppa lucana del VI secolo a.C. che raffigura Prometeo dilaniato dall'aquila. Nella sintesi simbolica di Gribaudo l'immagine appare bianca sulla tela di una piramide striata di rosso: rosso sangue, rosso fuoco, rosso terra. La piramide è la figura-simbolo del fuoco e dell'ascesi spirituale, in essa quindi si concentrano l'oggetto e il significato dell'azione prometeica; mentre l'episodio dell'aquila è come il deposito di una memoria archetipica impressa nel tempo a cui l'artista attinge, platonicamente, quale modello d'ispirazione, oppure come citazione di una dimensione mitica perduta.
Diversamente da Gribaudo, il fuoco di Scroppo è un fuoco "vero" che riempie e sconfina dal campo pittorico (saturato da un fondo giallo), quasi a simulare un divampare reale di fiamme che avvolgono la superficie del quadro. Di tutto il mito qui rimane l'elemento essenziale e imperituro, il dono di Prometeo agli uomini. Verdiani infine mette in chiave ironica la lettura politica del mito, presentando in alto la testa frontale di Prometeo colpita dai fulmini rossidell'ira di Zeus, mentre in basso l'aquila porta al collo una croce uncinata. È realizzata a imitazione degli stemmi araldici che hanno caratterizzato - guarda caso - la tirannia romana, napoleonica e nazifascista (come sottolineano le scritte del dipinto). Sui due lati del quadro s'alzano due colonne che contengono il fuoco rubato. Prometeo appare il paladino un po' donchisciottesco e un po' smarrito di una resistenza necessaria ai periodici assolutismi della storia. Il fuoco prometeico dunque non è ancora estinto, ne gli uomini intendono restituirlo agli dèi, agli artisti probabilmente spetta la responsabilità di continuare ad attizzarlo interrogandone il senso e rinnovando la propria "ispirazione".
Torino, maggio 1991

Andrea Balzola