Prometeo: il fuoco della visione
«Ho regalato loro il fuoco... da esso apprenderanno
innumerevoli arti»
(ESCHILO, Prometeo incatenato, 250)
Gli Argonauti proseguono il loro viaggio nel mito greco
attraverso le visioni di artisti contemporanei; quest'anno sulla scena della
pittura Albano, Gribaudo, Scroppo e Verdiani evocano Prometeo.
Tra gli dèi greci Prometeo è colui che si ribella all'assolutismo
di Zeus e che si sacrifica per gli uomini, trafugando e donando loro il fuoco
divino. Perciò viene incatenato da Zeus a una roccia e condannato ad
avere il fegato continuamente dilaniato da un'aquila (un sacrificio che lo
avvicina alla figura del Cristo), fin quando, dopo molte generazioni, viene
liberato e "riabilitato" da Heracle, figlio ribelle dello stesso
Zeus.
Biasimato da Esiodo e celebrato da Eschilo in
una trilogia (della quale ci è pervenuto soltanto il "Prometeo
incatenato"). Prometeo diventa per Goethe e per i poeti romantici l'emblema
della libertà umana, la sua titanica rivolta contro la tirannia degli
dèi incarna l'opposizione tra le forze umane della ragione, della conoscenza,
del coraggio, dell'astuzia e della creatività e la forza anti-umana
del potere. Ma per i romantici Prometeo è anche il modello del genio
artistico - incompreso - che porta agli uomini il fuoco dell'ispirazione,
da cui essi apprendono "innumerevoli arti".
Infine, Prometeo significa letteralmente colui che prevede, il preveggente.
Egli assume quindi una triplice valenza simbolica, in quanto tramite di libertà,
di ispirazione creativa e di (pre)visione, e il suo mito si presta a due letture
(di derivazione romantica): etico-politica ed estetica (lasciamo qui da parte
l'interpretazione psicanalitica di Bachelard o quella antropologico-religiosa
di Kerenyi). In questo quadro, il prometeismo si pone innanzitutto come sospensione
e ridefinizione delle regole: la rivolta etico-politica e la pratica artistica
sottraggono il fuoco vitale imprigionato dalle istituzioni e dai codici mummificati
e tirannici per rigenerere l'azione sociale e l'espressione creativa. Titanismo
spesso ingenuo, prevalentemente utopico, talvolta puramente distruttivo, ma
nondimeno essenziale per una rinnovata visione del mondo. Come possono allora,
oggi, interpretare il mito di Prometeo gli artisti, naturalmente depositari
di una vocazione prometeica?
I pittori torinesi presenti alla mostra scelgono due strade diverse per affrontare
il soggetto: Albano e Gribaudo rappresentano due momenti del supplizio di
Prometeo incatenato e divorato, mentre Scroppo e Verdiani preferiscono evocare
il mito attraverso le immagini simboliche del fuoco o della testa dell'eroe
sovrastante l'aquila. Nel dipinto di Albano, Prometeo è incatenato
a un gruppo di rocce sovrapposte che sembrano formare una croce e che incombono
su un mare scuro, assolutamente immobile, seminascosta dietro la roccia l'aquila
è in inquietante attesa. Tré fanciulle attorniano Prometeo che
uria la sua disperazione (evocano le Okeanidi, le primordiali figure alate
femminili che compongono il coro della tragedia di Eschilo): una porta il
fuoco sacro, l'altra leva il braccio e la terza, dietro l'eroe, tiene tesa
una vela bianca, a cui è ironicamente appeso un salvagente. La tragedia
si consuma in un'atmosfera raggelata e sospesa, dove il senso metafisico del
mito è testimoniato da una surreale atemporalità, come un ,incantesimo
che non si scioglie: quello dell'incessante ed impari lotta dell'uomo contro
il suo destino mortale. Gribaudo invece propone una rivisitazione "archeologica"
del mito, riproducendo in negativo il particolare di una coppa lucana del
VI secolo a.C. che raffigura Prometeo dilaniato dall'aquila. Nella sintesi
simbolica di Gribaudo l'immagine appare bianca sulla tela di una piramide
striata di rosso: rosso sangue, rosso fuoco, rosso terra. La piramide è
la figura-simbolo del fuoco e dell'ascesi spirituale, in essa quindi si concentrano
l'oggetto e il significato dell'azione prometeica; mentre l'episodio dell'aquila
è come il deposito di una memoria archetipica impressa nel tempo a
cui l'artista attinge, platonicamente, quale modello d'ispirazione, oppure
come citazione di una dimensione mitica perduta.
Diversamente da Gribaudo, il fuoco di Scroppo è un fuoco "vero"
che riempie e sconfina dal campo pittorico (saturato da un fondo giallo),
quasi a simulare un divampare reale di fiamme che avvolgono la superficie
del quadro. Di tutto il mito qui rimane l'elemento essenziale e imperituro,
il dono di Prometeo agli uomini. Verdiani infine mette in chiave ironica la
lettura politica del mito, presentando in alto la testa frontale di Prometeo
colpita dai fulmini rossidell'ira di Zeus, mentre in basso l'aquila porta
al collo una croce uncinata. È realizzata a imitazione degli stemmi
araldici che hanno caratterizzato - guarda caso - la tirannia romana, napoleonica
e nazifascista (come sottolineano le scritte del dipinto). Sui due lati del
quadro s'alzano due colonne che contengono il fuoco rubato. Prometeo appare
il paladino un po' donchisciottesco e un po' smarrito di una resistenza necessaria
ai periodici assolutismi della storia. Il fuoco prometeico dunque non è
ancora estinto, ne gli uomini intendono restituirlo agli dèi, agli
artisti probabilmente spetta la responsabilità di continuare ad attizzarlo
interrogandone il senso e rinnovando la propria "ispirazione".
Torino, maggio 1991
Andrea Balzola