Persefone, dall'invisibile alla pittura
«La fanciulla stava giocando con le fìglie
di
Oceano sui prati lussureggianti e coglieva
fiori, rose e crochi, violette, iris e giacinti.
Stava per cogliere anche il narciso che la dea
Gea con astuzia aveva fatto spuntare per
amor del dio degli Inferi per tentare la fan-
ciulla dal volto di bocciolo: una splendida
meraviglia. Tutti, dei e uomini, stupirono nel
vedere quella pianta. Cento fiori spuntavano
dalla sua radice, un dolce profumo si span-
deva nell'aria, il ciclo, la terra e l'acqua sal-
sa del mare ridevano. La fanciulla stupita
stese le mani verso quel fiore come verso un
giocattolo o un tesoro. Allora la terra si spa-
lancò, si apri una voragine sul campo Niseo;
Ades, il signore degli Inferi, il figlio di Cro-
no, il dio dai molti nomi ne balzò fuori con i
suoi cavalli immortali. Egli prese la fanciul-
la riluttante e piangente sul suo carro dorato
e la rapì».
(K. Kerenyi)
Così Persefone, figlia di Demetra e di Zeus, fu rapita
e divenne regina degli Inferi; soltanto in seguito all'intervento della madre,
che minacciò la sterilità della terra se la figlia non fosse
stata ritrovata e liberata,
potè ritornare alla luce, generando un fanciullo divino e facendo periodicamente
ritorno nel mondo dei morti. La storia di Persefone, che rimanda in prima
istanza al ciclo delle stagioni, indica più profondamen-te il carattere
misterico del principio femminile che sacrifica se stesso per la fertilità
del mondo e coincide con l'iniziazione simbolica dei misteri eleusini: la
discesa agli inferi e la morte come condizione della trasformazione spirituale
e della fecondità creatrice. Ed è proprio un'immagine eleusina
che Mantovani rievoca in pittura: Demetra e Persefone sono simmetriche e speculari,
mentre al centro sorge la chioma d'oro di Trittolemo che secondo gli orfici
rivelò a Demetra la sorte della figlia e per questo ne fu ricompensato
con il dono del frumento per tutti gli uomini. È l'immagine di un'investitura
che il femminile trasmette al maschile: Trittolemo, seminatore ctonio e spirituale.
Per rimanere in seno al mito mi piace immaginare che la presenza di quattro
artisti uomini - Carella, Garimoldi, Macciotta, Mantovani a "celebrare"
con una loro opera, o più, Persefone, sia come un rituale antico di
investitura: la pittura, feconda terra madre, dispensa ai suoi messaggeri
la facoltà di seminare l'oro - il grano - delle immagini.
Carella produce araldici rilievi, quasi pale di altari profani che teatralizzano
l'opera in percorsi simbolici, labirinti d'incerto destino contesi tra mappe
celesti e superfici terrestri, con la presenza costante di un oggetto-lancia,
contemporaneamente arma rituale e indicatore di direzione, nel tempo e nello
spazio. Garimoldi invece di portare al rilievo la pittura, è aratore
delle sue superfici cartacee, in origine le sue erano pagine di una scrittura
nel deserto, nella notte, nell'aria e nel colore ora il tracciato segnico
si fa più rarefatto e nella serie dedicata a Persefone, sposandosi
a una più esplicita scelta pittorica che grafica, imbastisce ritmi
che richiamano radici naturali: intermittenze e lampi di luce, scansioni di
campi, spirali di fuoco. La visione non si coagula in un'immagine definita
per restare sull'ineffabile confine tra naturale ed astratto, un confine simile
a quello che separava Persefone dall'invisibile regno di Ades. Macciotta,
nel paesaggio della pittura sceglie da sempre di suggerire la dimensione mitologica
del naturale attraverso la fissazione analitica dello sguardo e la perizia
del pennello, le sue composizioni di foglie non solo sembrano un'offerta a
Persefone e le sue rocce possono celare gli abissi di Ades, ma proprio la
cura naturalistica del dettaglio sospende l'immagine fuori dal tempo cristallizzandola,
ed in quelle colline che si moltipllcano all'infinito, così familiari
e così aliene, viene facile ambientare i Dialoghi con Lecuò
di Pavese.
Mantovani infine esercita medianicamente la pittura chiamando in un disegno
completamente reinventato e in aure d'intensità cromatica figure antiche,
o dorsi giovanili, come emblemi ieratici ma pulsanti. Il dorso è anatomia
misterica, androgina, equivale a uno scudo o a una soglia che segna il confine
con l'olire: sguardo celato, affacciato verso l'invisibile altrove. Da quel
limite può riprendere il viaggio ciclico di Persefone agli Inferi,
che è poi anche il rapimento dell'arte nei propri enigmi e nei propri
sotterranei labirinti prima di ogni raccolto e di ogni pubblica visione.
Torino, aprile '92
Andrea Balzola