I segreti di Pandora
Nell'avvincente "sedai" del racconto mitologico
greco, lanascita di Pandora è il seguito del furto prometeico del fuoco
a Zeus (tema al quale era stata dedicata l'edizione del 1991 di questa mostra).
Secondo il racconto di Esiodo, la bellissima fanciulla Pandora dalla pudica
apparenza, fu creata con la terra da Zeus per vendicarsi della conquista del
fuoco da parte degli uomini: "essi riceveranno da me, in cambio del fuoco,
un male di cui gioiranno, circondando d'amore ciò che costituirà
la loro disgrazia". Pandora, infatti, antenata di tutte le spose degli
uomini, levando per curiosità il coperchio di un vaso di terracotta,
predisposto da Zeus, liberò le malattie letali che vi erano rinchiuse
e che da quel momento si diffusero irreversibilmente in tutto il nostro mondo,
rendendo mortali gli uomini e separandoli dagli dei.
Soltanto la Speranza rimase chiusa in quel vaso. Pandora, il cui nome maliziosamente
significa "colei che tutto dona", come la Madre Terra, incarnerebbe
perciò una visione negativa della donna quale origine dei mali dell'umanità.
Visione che per qualche via l'apparenta a Persefone (cfr. l'edizione del 1992
di questa mostra), figlia di Zeus e di Demetra, divenuta Regina degli Inferi.
In realtà, la natura simbolica della rappresentazione mitologica richiede
sempre una lettura ambivalente o polivalente, proprio come l'opera d'arte.
Così come il fuoco crea una grande svolta nell'evoluzione umana, ma
provoca anche la "vendetta degli dei", le grazie e la fecondità
femminili possono diventare fonte di disgrazia, ma la donna è matrice
inconsapevole del male ed è essa stessa, come sposa e madre dei mortali,
la prima vittima. Zeus punisce l'arroganza degli uomini attraverso la cecità
del loro desiderio, perciò Pandora rappresenta non tanto la femminilità
in quanto tale ma la Seduzione, che è appunto cieca ed acceca. Cosa
accade quando l'arte della seduzione fa da specchio alle seduzioni dell'arte?
In mostra, Clotilde Ceriana-Mayneri presenta i cocci di terracotta
del "Vaso di Pandora", frammenti "archeologici" sui quali
illeggibili iscrizioni raccontano il mistero dell'origine. Rotto il Vaso di
Pandora, che conteneva le malattie e la Speranza, Ceriana ricompone idealmente
un Vaso della Memoria, tessendo come novella Penelope l'arazzo di un mito
personale di carta, colore e materiali naturali. Ceriana compone come trecce
le tracce del tempo, presentandole in raffinatissime bacheche, per lei la
scrittura e il numero sono anzitutto immagini, cifre della visione che si
mescolano ai bassorilievi della carta e all'impronte materiche e cromatiche.
Risalendo il corso del tempo, sembra che l'artista suggerisca di cercare nel
passato la Speranza rimasta nel Vaso di Pandora.
Anna Lequio dipinge le acque con l'acqua pigmentata dei colori dell'anima,
tumultuose e scure sono quelle vorticanti sotto il segno di Pandora. La spirale
delle acque infere si sublima nel fiore della bellezza di Pandora, il cui
corpo, allo stesso tempo innocente e colpevole, è il miraggio che accende
il fuoco della passione degli uomini. Qui è la tecnica stessa - per
velature stratificate e un'audace strategia di elaborazione della macchia,
passando dalla scura densità alla luminosa rarefazione - che realizza
la mescolanza e il contrasto tra la gioia della bellezza e il dolore della
malattia fatale. Se gli acquerelli degli intemi della Lequio lasciano in chi
guarda indelebili impronte di luce, i suoi estemi di natura sembrano invece
assorbire lo sguardo nelle trame sottilissime e nascoste della pittura.
In Gino Gorza il riferimento al mito di Pandora è invece astratto:
la sua pasta alta su tavola s'intitola "Sincrasi", cioè mescolanza.
Mescolanza del male col mondo, ma anche cristallizzazione dei flussi e dei
fluidi, tracce del passaggio dalla dimensione del fare a quella dell'essere,
e da questa, dissolvenza nel bianco del vuoto, del non essere. Apparizioni
e sparizioni ritmiche di un gesto che appartiene al mito più che alla
storia, perché la pittura di Gorza è una scrittura della psiche.
Una scrittura "anterem", prima della parola, dal cui Vaso escono
le forme senza figura del desiderio, della memoria e dell'oblio, dell'ebbrezza
o del disincanto, del niente. Il pittore che ha visto Pandora ora la dipinge
dentro di sé e solo i suoi veli e i suoi nastri, i segni fasti e nefasti
del suo passaggio, lascia trasparire agli altri uomini.
Dall'architettura minimale di Beppe Sesia, infine, emerge un'immagine
totemica di Pandora: un parallelepipedo in laminato plastico nero diviso al
suo intemo da aste cilindriche in legno, costellate di medaglie d'acciaio.
Corazza e ornamento vestono il nero assoluto di una presenza "metafisica"
che, come il monolito di "2001: odissea nello spazio", viene ricevuto
dagli uomini quale inquietante e irresistibile dono di un alieno potere divino.
Nel Vaso di Pandora c'è quel che non deve essere conosciuto e scoperto
(a qualcuno verrà in mente la mela di Èva), un mistero che deve
rimanere sigillato e che gli artisti, da sempre sedotti dall'avvenenza delle
muse e a loro volta seduttori dell'umano sguardo, cercano di catturare e riassorbire
nella solidità materica della loro opera, in una taumaturgica catarsi
simbolica del mondo malato.
Andrea Balzola Aprile
1993