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Catalogo
Pittura come Mito - 24 pittori a Collegno
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2000
Recensione di Pino Mantovani
.....Del resto, che l'arte, e in particolare la pittura, sia una delle forme del mito lo dimostra la sua efficacia diretta nel rappresentare l'intenzione e l'atto creativo.
La pittura è «erotica, eretica, errante», secondo la splendida formula di Osvaldo Licini, che definisce così se stesso ma per estensione la pittura, almeno una certa pittura: i numerosi interventi di Andrea Balzola, che dal '90 al '94 diventa l'accompagnatore stabile della rassegna, commentando i miti di Eros ('90), Prometeo ('91), Persefone ('92), Pandora ('93), Perseo ('94), lo dimostrano sistematicamente.
Eros sovrintende la creazione prima e tutte le creazioni ulteriori o metamorfosi che siano, sintesi come è degli opposti maschile e femminile, ma anche mediatore tra dei e uomini, cielo e terra, luce e tenebra....
La pittura porterebbe fin dentro il nostro mondo laico la sintesi del «principio di piacere e fecondità con un principio di distruzione e morte». «Nello specchio di Eros può riconoscersi l'artista nella sua generalità di artefice dell'opera, ma anche ciascun artista nella sua irriducibile singolarità (...). L'artista unisce le materie, riempie spazi e superfici, porta alla manifestazione o riproduce figure di mondi invisibili o sensibili (...). Ogni artista è figlio di una visione di Eros. Una visione che consegna nell'opera l'utopia di una ricongiunzione (a se stessi, all'altro, al mondo: vocazione all'Uno).... Ciò che distingue un lavoro dall'opera è proprio l'investimento di eros a quest'ultima necessario» (A. Balzola 1990). L'eresia è ulteriore carattere della pittura: Prometeo nel mito ruba il fuoco agli dei e lo regala agli uomini, i quali da esso apprendono innumerevoli arti, cioè di abilità operative e inventive. La pittura (l'atto creativo) perpetua il mito raccogliendone gli insegnamenti che, nella sintesi di Balzola, sono almeno tré:

- la ribellione al potere costituito, vissuta come esperienza anarchica o come prova di consapevole e generosa libertà;
- la genialità, come abbandono all'ispirazione e invenzione avventurosa;
- la (pre) visione, cioè la capacità di rovesciare l'evidenza e di scoprire e attivare il nascosto, l'invisibile, l'ignoto portandolo
alla chiarezza, alla lucentezza della forma e della bellezza, o sul baratro del sublime.
Da ultimo, l'erranza. I miti di Persefone, Pandora, Perseo segnalano tre forme del viaggio, sempre tra vita e morte, fra tenebra e luce, tra luce, chiara e chiarificatrice, e abbacinamento. Viaggi, quelli di Persefone e di Pandora, che comportano sottrazione e dono ad un tempo, traviamento e redenzione come compete al femminile. Discese dolorose e resurrezioni, l'attraversa- mento di un limite, che nella pittura è l'indecifrabile enigma presupposto a qualsiasi manifestazione, per non dire del pericolo che accompagna ogni forma di seduzione data o subita. Ma non esiste scoperta senza desiderio e seduzione: desiderio e seduzione, che possono essere distruttivi, sono anche il fondamento dell'atto positivo della creazione.
Quanto a Perseo, il suo viaggio è verso la luce: egli nasce da una fecondazione nel buio a forza di luce assoluta, l'oro nel quale si muta Zeus per amare Danae la madre. La vicenda di Perseo è impressa dalla luce prima, e consiste nel portare luce salvifica, a volte invertendo il potenziale distruttivo ch'essa possieda (come nello scontro con Medusa), a volte domandone l'eccesso (come nell'uso controllato di Pegaso). Ancora una splendida definizione del valore luminoso dell'arte, della sua capacità di attraversare o sorvolare i luoghi più vischiosamente bui. All'insegna di Athena vincitrice dei mostri ctonii e infernali, l'arte, con particolare sottigliezza la pittura - ce lo ricorda Paolo Nesta nella sua presentazione del 1996 - riesce a guadagnare e a «circoscrivere, tra l'essere e il non essere, tra il vero e il falso, lo spazio del fìttizio e dell'illusorio, in cui si collocano (...) eidola, eikones, pluntasmata, i frutti della phantasia immersa nel flusso del sensibile, rigorosamente opposto all'intelletto (...) come i prodotti oggettivi di determinate arti». Non senza problemi, certo, perché la potenza di seduzione delle arti è tremenda, per chi le pratichi e per chi le riceva; ma proprio la saggezza di Athena riuscirà ad impedire che i prodotti delle arti regrediscano allo stato larvale o restino impigliati nella «realtà» e nelle sue funzioni. Naturalmente non poteva mancare il mito di Narciso, forse il più fortunato fra quanti hanno toccato la pittura, anzi meglio il pittore. Tanto che il narcisismo è dato come un carattere primario del pittore, solitario amatore di se stesso, e anche della pittura che tende alla tautologia autoriflessiva/ specialmente nelle epoche «manieriste» (perfino Hauser, che non può essere tacciato di simpatie decadenti, dedica a Narciso un capitolo nel suo «Manierismo»). Per non ripetere cose largamente studiate, mi soffermo un attimo sull'immagine minimale che timbra il catalogo del '96 curato da Lucio Cabuttì: è il «Narciso» di Caravaggio. Tra le altre geniali soluzioni in questo capolavoro, ce n'è una che vai la pena sottolineare: la figura riflessa raddoppia Narciso che si specchia senza subire i condizionamenti della prospettiva particolare, come se fosse una carta da gioco, elementare icona che ha resistito ad ogni tentazione di ricalco. Ovvero, Narciso non subisce lo specchio, ma è specchiato - lui stesso e la sua immagine specchiata - nello specchio oggettivante della pittura.
Se si considerassero meglio gli autoritratti dei pittori, ci si accorgerebbe che spesso l'immagine specchiata non è seconda ma terza, dico che un altro specchio specchia lo specchiamento. Arthemis, ultima figura del mito evocata dalla parola e dall'immagine nel '99, mi permette di richiamare due persone che non ci sono più a me diversamente care, legate entrambe alla pittura anzi al mito della pittura: Albino Galvano e Aldo Spinardi. Il primo è autore diArtemis Ephesia, un saggio del '66 pubblicato presso Adelphi, che, indagando il significato del politeismo pagano a fronte del monoteismo biblico e poi cristiano, di fatto cerca di riconoscere la specificità degli idoli, la potenza dei feticci che realizzano il sacro e lo trasmettono, insomma la «concretezza viva del culto» e la precisa individualità dimostrata dalla «possibilità di nominare» (questo almeno prima della riduzione letteraria e filosofica greca e poi romana). Lo stesso farebbe, mutatis mutandis, l'artista moderno «concreto», tutto preso e compromesso nell'immediatezza dell'operare e nell'evidenza dell'opera realizzata, non perché sia esauriente la cosila dell'operare e dell'opera libera da impacci illustrativi, ma perché l'operare è tensione che attraversa l'esito, e l'opera schermo dove si proietta una verità altrimenti inconoscibile, e insieme schermo nel senso di garanzia di inaccessibilità (segno/cosa, dunque, che svela e vela ad un tempo). Quanto a Spinardi, autore dell'ultima presentazione nel '99, Artemis è occasione per dichiarare ancora una volta, con linguaggio bonario ma non superficiale, un amore di pittura che ha saputo mantenersi «innocente» attraverso tutte le vicende anche drammatiche della vita. Artemis/ vergine e portatrice di seduzione, aggressiva cacciatrice e porto di salvezza anche per gli schiavi, polimastica ed eterna adolescente, forse è la divinità che meglio rappresenta l'aspetto problematico e poliverso dell'arte, giustificando affascinamenti definitivi che non risparmiano spiriti differentissimi.
Ultima considerazione. Nel linguaggio comune, il termine «mitico» ha due significati prevalenti: il primo allude ad una distanza estrema insuperabile, qualunque sia il valore e il tono di questa condizione; il secondo, specialmente usato nel gergo giovanile, indica qualcosa di straordinario, di eccessivo tanto da non poter essere collocato nel proprio tempo, come se fosse arrivato d'altrove. Dire che la pittura è un mito potrebbe anche raccogliere questi significati: la pittura sarebbe mito in quanto inappartenente al nostro tempo. Qualunque sia il giudizio: residuo patetico di tempi finiti e irrecuperabili o meraviglia galleggiante nella diffusa mediocrità.


Marzo 2000
Pino Mantovani