.....Del resto, che l'arte, e in
particolare la pittura, sia una delle forme del mito lo dimostra la sua efficacia
diretta nel rappresentare l'intenzione e l'atto creativo.
La pittura è «erotica, eretica, errante», secondo la splendida
formula di Osvaldo Licini, che definisce così se stesso ma per estensione
la pittura, almeno una certa pittura: i numerosi interventi di Andrea Balzola,
che dal '90 al '94 diventa l'accompagnatore stabile della rassegna, commentando
i miti di Eros ('90), Prometeo ('91), Persefone ('92), Pandora ('93), Perseo
('94), lo dimostrano sistematicamente.
Eros sovrintende la creazione prima e tutte le creazioni ulteriori o metamorfosi
che siano, sintesi come è degli opposti maschile e femminile, ma anche
mediatore tra dei e uomini, cielo e terra, luce e tenebra....La pittura
porterebbe fin dentro il nostro mondo laico la sintesi del «principio
di piacere e fecondità con un principio di distruzione e morte».
«Nello specchio di Eros può riconoscersi l'artista nella sua generalità
di artefice dell'opera, ma anche ciascun artista nella sua irriducibile singolarità
(...). L'artista unisce le materie, riempie spazi e superfici, porta alla manifestazione
o riproduce figure di mondi invisibili o sensibili (...). Ogni artista è
figlio di una visione di Eros. Una visione che consegna nell'opera l'utopia
di una ricongiunzione (a se stessi, all'altro, al mondo: vocazione all'Uno)....
Ciò che distingue un lavoro dall'opera è proprio l'investimento
di eros a quest'ultima necessario» (A. Balzola 1990). L'eresia è
ulteriore carattere della pittura: Prometeo nel mito ruba il fuoco agli dei
e lo regala agli uomini, i quali da esso apprendono innumerevoli arti, cioè
di abilità operative e inventive. La pittura (l'atto creativo) perpetua
il mito raccogliendone gli insegnamenti che, nella sintesi di Balzola, sono
almeno tré:
- la ribellione al potere costituito, vissuta come esperienza anarchica o come
prova di consapevole e generosa libertà;
- la genialità, come abbandono all'ispirazione e invenzione avventurosa;
- la (pre) visione, cioè la capacità di rovesciare l'evidenza
e di scoprire e attivare il nascosto, l'invisibile, l'ignoto portandolo
alla chiarezza, alla lucentezza della forma e della bellezza, o sul baratro
del sublime.
Da ultimo, l'erranza. I miti di Persefone, Pandora, Perseo segnalano tre forme
del viaggio, sempre tra vita e morte, fra tenebra e luce, tra luce, chiara e
chiarificatrice, e abbacinamento. Viaggi, quelli di Persefone e di Pandora,
che comportano sottrazione e dono ad un tempo, traviamento e redenzione come
compete al femminile. Discese dolorose e resurrezioni, l'attraversa- mento di
un limite, che nella pittura è l'indecifrabile enigma presupposto a qualsiasi
manifestazione, per non dire del pericolo che accompagna ogni forma di seduzione
data o subita. Ma non esiste scoperta senza desiderio e seduzione: desiderio
e seduzione, che possono essere distruttivi, sono anche il fondamento dell'atto
positivo della creazione.
Quanto a Perseo, il suo viaggio è verso la luce: egli nasce da una fecondazione
nel buio a forza di luce assoluta, l'oro nel quale si muta Zeus per amare Danae
la madre. La vicenda di Perseo è impressa dalla luce prima, e consiste
nel portare luce salvifica, a volte invertendo il potenziale distruttivo ch'essa
possieda (come nello scontro con Medusa), a volte domandone l'eccesso (come
nell'uso controllato di Pegaso). Ancora una splendida definizione del valore
luminoso dell'arte, della sua capacità di attraversare o sorvolare i
luoghi più vischiosamente bui. All'insegna di Athena vincitrice dei mostri
ctonii e infernali, l'arte, con particolare sottigliezza la pittura - ce lo
ricorda Paolo Nesta nella sua presentazione del 1996 - riesce a guadagnare e
a «circoscrivere, tra l'essere e il non essere, tra il vero e il falso,
lo spazio del fìttizio e dell'illusorio, in cui si collocano (...) eidola,
eikones, pluntasmata, i frutti della phantasia immersa nel flusso del sensibile,
rigorosamente opposto all'intelletto (...) come i prodotti oggettivi di determinate
arti». Non senza problemi, certo, perché la potenza di seduzione
delle arti è tremenda, per chi le pratichi e per chi le riceva; ma proprio
la saggezza di Athena riuscirà ad impedire che i prodotti delle arti
regrediscano allo stato larvale o restino impigliati nella «realtà»
e nelle sue funzioni. Naturalmente non poteva mancare il mito di Narciso, forse
il più fortunato fra quanti hanno toccato la pittura, anzi meglio il
pittore. Tanto che il narcisismo è dato come un carattere primario del
pittore, solitario amatore di se stesso, e anche della pittura che tende alla
tautologia autoriflessiva/ specialmente nelle epoche «manieriste»
(perfino Hauser, che non può essere tacciato di simpatie decadenti, dedica
a Narciso un capitolo nel suo «Manierismo»). Per non ripetere cose
largamente studiate, mi soffermo un attimo sull'immagine minimale che timbra
il catalogo del '96 curato da Lucio Cabuttì: è il «Narciso»
di Caravaggio. Tra le altre geniali soluzioni in questo capolavoro, ce n'è
una che vai la pena sottolineare: la figura riflessa raddoppia Narciso che si
specchia senza subire i condizionamenti della prospettiva particolare, come
se fosse una carta da gioco, elementare icona che ha resistito ad ogni tentazione
di ricalco. Ovvero, Narciso non subisce lo specchio, ma è specchiato
- lui stesso e la sua immagine specchiata - nello specchio oggettivante della
pittura.
Se si considerassero meglio gli autoritratti dei pittori, ci si accorgerebbe
che spesso l'immagine specchiata non è seconda ma terza, dico che un
altro specchio specchia lo specchiamento. Arthemis, ultima figura del mito evocata
dalla parola e dall'immagine nel '99, mi permette di richiamare due persone
che non ci sono più a me diversamente care, legate entrambe alla pittura
anzi al mito della pittura: Albino Galvano e Aldo Spinardi. Il primo è
autore diArtemis Ephesia, un saggio del '66 pubblicato presso Adelphi, che,
indagando il significato del politeismo pagano a fronte del monoteismo biblico
e poi cristiano, di fatto cerca di riconoscere la specificità degli idoli,
la potenza dei feticci che realizzano il sacro e lo trasmettono, insomma la
«concretezza viva del culto» e la precisa individualità dimostrata
dalla «possibilità di nominare» (questo almeno prima della
riduzione letteraria e filosofica greca e poi romana). Lo stesso farebbe, mutatis
mutandis, l'artista moderno «concreto», tutto preso e compromesso
nell'immediatezza dell'operare e nell'evidenza dell'opera realizzata, non perché
sia esauriente la cosila dell'operare e dell'opera libera da impacci illustrativi,
ma perché l'operare è tensione che attraversa l'esito, e l'opera
schermo dove si proietta una verità altrimenti inconoscibile, e insieme
schermo nel senso di garanzia di inaccessibilità (segno/cosa, dunque,
che svela e vela ad un tempo). Quanto a Spinardi, autore dell'ultima presentazione
nel '99, Artemis è occasione per dichiarare ancora una volta, con linguaggio
bonario ma non superficiale, un amore di pittura che ha saputo mantenersi «innocente»
attraverso tutte le vicende anche drammatiche della vita. Artemis/ vergine e
portatrice di seduzione, aggressiva cacciatrice e porto di salvezza anche per
gli schiavi, polimastica ed eterna adolescente, forse è la divinità
che meglio rappresenta l'aspetto problematico e poliverso dell'arte, giustificando
affascinamenti definitivi che non risparmiano spiriti differentissimi.
Ultima considerazione. Nel linguaggio comune, il termine «mitico»
ha due significati prevalenti: il primo allude ad una distanza estrema insuperabile,
qualunque sia il valore e il tono di questa condizione; il secondo, specialmente
usato nel gergo giovanile, indica qualcosa di straordinario, di eccessivo tanto
da non poter essere collocato nel proprio tempo, come se fosse arrivato d'altrove.
Dire che la pittura è un mito potrebbe anche raccogliere questi significati:
la pittura sarebbe mito in quanto inappartenente al nostro tempo. Qualunque
sia il giudizio: residuo patetico di tempi finiti e irrecuperabili o meraviglia
galleggiante nella diffusa mediocrità.
Marzo 2000
Pino Mantovani