Quando parliamo di mito spesso la nostra immaginazione inizia
a ripercorrere leggende e poemi della storia greca, alla ricerca di iconografie
conosciute o più semplicemente incontrate. In realtà il viaggio
nel mito è un percorso sia nella storia che nella leggenda, sono infatti
molti gli elementi in grado di spostarci con grande facilità dall'uno
all'altro registro, dai poemi epici alle forme tragiche che nel caso del mito
di Edipo coincidono con le figure dei grandi Sofocle (Edipo Rè, Edipo
a Colonia), Eschilo ed Euripide {Fenicie). Il mito procede per topoi costruttivi
le cui varianti interpretative intorno ad alcune figure si condensano quali
metafore di una ricchezza semantica che ha dello straordinario e dell'immaginifico:
un potenziale in grado di soddisfare le aspettative dei singoli popoli e delle
singole tradizioni.Prova ne è la tradizione concernente la figura della
madre di Edipo chiamata Epicasta nell'Odissea, Giocasta dai Tragici, Eurigania
o Eurianassa nella versione epica del ciclo edipico, infine Astimedusa (nominativo
in grado di collegare questo mito a quello Eracleo). Rimangono costanti alcuni
nuclei tematici simbolicamente interessanti per comprendere quanto la figura
dell'eroe, nel nostro caso Edipo, possa essere considerata metafora di un
riscatto sia personale e familiare, che politico-sociale.
Le imprese di Edipo si mescolano intrecciandosi con quelle del popolo tebano
e della sua sottomissione alla Sfinge, figura mezza leone e mezza donna, solita
porre enigmi ai passanti e a divorarli in caso di risposta errata. Incontratala
a Tebe, Edipo riesce a rispondere positivamente ai suoi quesiti, quindi la
uccide riuscendo a liberare i Tebani dal terribile mostro.
Il nodo del mito edipico si svolge intorno all'uccisione del padre da parte
del figlio e dell'incesto della madre con la figura di Edipo stesso. Molte
le varianti risolutive a questo conflitto nodale: da quella in cui Giocasta
si uccide ed Edipo trafìgge i propri occhi con la spilla della madre,
a quella sofoclea, modificata da Euripide, in cui Giocasta muore ancora suicida,
sino a quelle epiche in cui la morte di Giocasta non interrompe il regno di
Edipo, rimasto sul trono e definitivamente sconfitto soltanto dalla morte
sopraggiunta durante la guerra contro i popoli vicini (Ergino, Mini). Le ultime
due varianti intorno alla fine della vita dell'eroe ci parlano, nel caso dei
Tragici e di Edipo, della vita errabonda a cui fu costretto Edipo sino a quando
giunto in Attica, terra di Colono, ivi morì; nell'altro caso invece,
fanno riferimento alla predizione oracolare secondo cui il paese che avrebbe
accolto la tomba dell'eroe sarebbe stato benedetto per sempre dagli dei; in
specifico l'eroe volle che le sue ceneri rimanessero in Attica. A ben guardare
quanto il mito di Edipo si snodi con varianti e ritorni all'interno del binomio
famiglia-stato, ci pare lecito evidenziare che solo attraverso l'abbandono
dell'alveo genitoriale, e del superamento dei conflitti naturali ivi insiri
sia possibile crescere e diventare figli della collettività. In questo
senso chiaramente il mito di Edipo verrà recuperato e riletto in chiave
psicanalitica da Freud. Alcuni studiosi vedono nella leggenda di Edipo un
mito solare, altri preferiscono ravvicinare la figura dell'eroe alle divinità
infernali, alle quali sarebbe propria la caratteristica dei piedi deformi,
così come Edipo e Cineasta sarebbero gli antichi nomi scomparsi di
Efesto e di Era (saga egiziana di Tifone) L'iconografica edipica si sviluppa
in parallelo alle fonti della tragedia attica, ora nella pittura vascolare
e soprattutto in urne funerarie, ora in forme in rilievo. Le iconografie più
numerose riguardano l'incontro di Edipo con la Sfinge in cui l'eroe si presenta
con clamide e lancia.
Eirej (Ennio Rutigliano) in Edipo Rè suggerisce una trattazione
tra il surreale ed il metafisico dell'idea della nascita e della ripetizione
del mito grazie ad una costruzione sfondata su di un piano azzurrato, introdotto
prospetticamente da una pavimentazione a scacchiera di sapore teatrale.
Sandro Lobalzo sottolinea la permanenza simbolica del mito all'interno
della vita familiare quotidiana (Una storia quotidiana) lavorando sul valore
allegorico di una natura morta in primo piano, ripresa a piena luce e una
coppia di teste in gesso disposte in modo complementare quasi ad evocare con
potenza dall'oscurità del fondo la loro attualità.
Vinicio Perugia insiste sulla contemporaneità del mito giocando
con le sue trasparenze e figure nascoste sulla ciclicità dell'intreccio
familiare, la sua tragicità e dimensione atemporale. Ciascun uomo potrà
collocare La persistenza della profezia in un spazio sospeso tra ricordo
e futuro, tra fissità e svolgimento, tra biografia e tradizione.
Ezio Vincenti inquadra la figura di Giocasta secondo una costruzione
tipicamente scenografica e teatrale, tipica della sua formazione e di molte
delle caratteristiche risoluzioni a collage e tecnica mista dell'autore. Anche
in questo caso, come in quasi tutte le figure umane presenti nei suoi quadri,
è il manichino femminile a proporsi, quale figura topica, senza capo,
senza volto, simbolo del genere femminile. Il doppio sfondo templare suggerisce
alla scena un poetico sapore surreale accentuato dalla disposizione a caduta
libera dei soggetti in gesso in primo piano.
Manuela Cusino