Ares furioso, sterminatore
".. Gli uni li incita Ares, gli altri Atena dagli occhi splendenti,
la Disfatta (Deimos), il Terrore (Fobos), la Contesa (Eris) furente,
sorella e compagna di Ares sterminatore,
che è dapprima piccola, ma poi arriva a toccare
il cielo con il capo, mentre cammina per terra;
essa scagliò in mezzo a loro lo scontro feroce per tutti,
andando tra la folla e accrescendo il pianto degli uomini.
Quando si incontrarono nello stesso punto,
urtarono gli scudi, le lance e il furore
degli uomini armati di bronco, gli scudi convessi
cozzarono gli unì con gli altri e sorse un immenso tumulto.
C'erano insieme lamenti e grida di gioia
di uccisori e di uccisi, il sangue inondava la terra... "

(Ornerò, Iliade, libro V, vv. 419 - 431, trad. di Guido Paduano)


Quando, per effetto del sonno della ragione, le facoltà della mediazione si esauriscono e sopraggiunge il fallimento della politica, è tempo di guerra. L'inesausta creatività mitopoietica degli antichi greci genera allora Ares e, insieme a lui, un fitto stuolo di divinità - sue sorelle e suoi fratelli e tutta la loro discendenza - affolla il campo di battaglia, mescolandosi tra gli uomini, affiancandosi ai combattenti. Giove e gli altri Olimpi, invece, si appartano e preferiscono assistere da lontano al "furore degli uomini armati di bronzo.. ". Con la sospensione della pace, il conflitto segna il momento tragico del suo eterno, "dialettico" ritorno.
Nell'ambito della mitica costruzione figurativa, generatrice delle personificazioni di Ares e di Ires-Contesa - o la Discordia - la coppia subentra di prepotenza, sostituendosi inaspettatamente all'immaginario degli inesauribili, quasi scontati e, dunque, sostanzialmente tollerati - e perciò pacifici - incontri erotici e prolifici di Giove. Ne scaturisce - per Maria Antonietta Onida -
una vera e propria iconografia "alternativa" e violentemente trasgressiva: Ires è sorella e nello stesso tempo compagna del fratello Ares. In essa si cela il doppio, assolutamente ambiguo, livello simbolico degli dei: olimpicamente distanti e nello stesso tempo pronti alle più crudeli e schierate interferenze nei confronti dell'umanità. Essa compare defilata e cupa, ma di fatto obbediente, ai loro piedi, travolta da oscure passioni bellicose. Luce diurna e cupe, notturne, tormentate e luttuose atmosfere si scambiano i ruoli, si sovrappongono, appaiono confondersi in una diffusa ragnatela.
Nell'opera di Elisabetta Viarengo Miniotti la tragedia incombe, tremenda e lugubre, dall'alto, segno ineluttabile di un destino imposto e subito dagli uomini, sospinta in primo piano, al centro, dal pugno armato, grondante di sangue. Una densa nuvola d'ira ottenebra le menti dei guerrieri, illusoriamente sicuri dentro le armature, levando al cielo una folta schiera di picche, che li rende certi dell'inutile vittoria e dell'impossibile sconfitta. Le immagini denunciano da sole la dimensione della tragedia. Le leggi apollinee della visione ci restituiscono lucidamente il clamore dionisiaco delle passioni scatenate, suscitato dalle masse compatte dei combattenti e dal livoroso scontro delle armature; in quel tormentato, materico clangore si percepisce ovunque l'odore acre e terrigno della morte, ieri e oggi.
La fantasmatica presenza di Ares trapela ed emerge, al centro, nella xilografìa di Isidoro Cottino, attraverso una fitta tessitura di linee verticali, apparendo improvvisa, come una presenza totemica, prepotentemente affiorante tra una schiera di lance innalzate. Nella ricerca estrema delle potenzialità della tecnica, la valenza del segno, diretta a comporre nella sua essenzialità la struttura portante della visione - in quanto indirizzata ad animare interpretativamente le risorse spontaneamente messe a disposizione dalle
trame materiche del legno - si trasforma in forza evocativa di una angosciosa entità, puramente inconscia.
Il triplice e complementare ricorso all'acquaforte, all'acquatinta e alla puntasecca è indispensabile nell'opera di Livio Stroppiana per dare forma appunto attraverso l'incontro discrepante e talvolta deliberatamente stridente ed ossessivo, delle tecniche - ad un vero e proprio corpo a corpo tra segni, suggestioni materiche e astanze luminose. Sciabolate di luce e instabili percorsi di fasci di forme si alternano e si scontrano, raggrumandosi ed impastandosi in densi nodi materici, per poi liberarsi in nuove traiettorie di
energie, che, stagliandosi drammaticamente su uno sfondo cupo e profondo, intersecano, scavano e costruiscono lo spazio dinamico, la "dùnamis" interna alla composizione.


Paolo Nesta

Catalogo
Il Mito di Ares
pagina 2/10
2008
Recensione di Paolo Nesta