Presentazione di Massimo Carrà
Pietro Morando 1889-1980

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Parlare di Pietro Morando per me non può non significare unire strettamente il ricordo dell'uomo e l'indagine sulla sua opera pittorica, nel riemergere alla memoria di una amicizia durata parecchi decenni e nello stesso tempo nel valutare obiettivamente quello che è stato il suo impegno, il suo itinerario artistico. Perché è propio in ragione della consuetudine che avevo con lui che posso attestare la qualità e il disinteresse di questo suo impegno pittorico; unitamente alla sua consapevolezza delle proprie forze e alla modestia con cui si poneva di fronte al lavoro.
Per me l'amicizia di Morando è stata la conseguenza naturale, cresciuta via via negli anni, della sua devozione profonda verso mio padre e verso tutta la nostra famiglia. Devozione nata agli inizi degli anni Venti da parte di un giovane artista di provincia e di origini umili, quale era lui, verso un pittore già di primo piano che aveva alle sue spalle l'esperienza dirompente del futurismo e poi le stagioni della metafisica e dei «Valori Plastici». Ammirazione dunque pittorica, ma ben presto arricchita da un caldo rapporto umano alimentato dalla simpatia di mio padre verso questo giovane e serio pittore suo conterraneo. Per decenni e decenni da Alessandria Morando veniva a Milano a passare una giornata da noi ogni settimana regolarmente, per parlare d'arte, vedere e mostrare i frutti del rispettivo lavoro: anche negli anni più diffìcili della guerra, anche quando non c'era da fidarsi dei treni, e allora lui, piccolo, magro, ma solido com'era, si sobbarcava quei novanta chilometri di strada in bicicletta, sempre affardellato di sacchetti di farina, di pezzi di carne, di burro che a Milano, allora, era così difficile trovare. E in questo comportamento c'era tutto l'uomo, con la sua generosità, il suo altruismo, il suo affetto sicuro. Ma al di là di questi ricordi personali, per me un po' emozionanti, l'iniziativa di questa mostra allestita dal Comune di Collegno ripropone una rilettura opportuna dell'opera pittorica di Morando, cioè di quello che per un artista meglio rappresenta il senso e il significato del suo passaggio nel mondo. E va subito detto che la sua ricerca si è sempre dipanata attraverso le vicende dell'arte italiana fra 1920 e 1970 da una posizione attenta alle proposte e alle suggestioni del dibattito della cultura figurativa, ma una posizione in qualche modo distaccata, quale si confaeeva al suo spirito riflessivo e sempre un poco in sordina, sia anche al clima di una certa periferia nella quale aveva scelto di vivere. Non quindi atteggiamenti di punta ne svolte clamorose: piuttosto un lavoro silezioso di scavo in se stesso alla luce della riflessione su quanto il dibattito culturale veniva via via proponendo e le oscillazioni del gusto mettevano alla ribalta. Durante tutta la sua lunga carriera, con le inevitabili e diciamo pure opportune correzioni di rotta, dagli stupori giovanili alla consapevolezza della maturità, per Morando l'immagine resta sempre il tramite certo tra comunicazione ed espressione. E la scelta di linguaggio che si riconosce nell'immagine stessa è il segno evidente di un interesse vivissimo per l'uomo (tema quasi costante di questa pittura) e per la sua vicenda esistenziale. La rappresentazione pittorica, voglio dire, come esito di immaginazione e osservazione insieme rielaborate, tutte dunque centrate sull'essere umano, sulla sua inquietudine.....

 

 

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