...Come ebbe a scrivere Rainer Maria
Riike tradotto da Giaime Pintor, citato da Paolo Levi nel catalogo
del 1988 dedicato al mito di Orfeo: «II canto che tu insegni
non è brama, / non è speranza che conduci a segno. /
Cantare è per tè esistere.
Un impegno facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?». Il fatto
è che la continuità tra l'uomo e il canto è venuta
meno (se mai è stata in una ipotetica età dell'oro),
nel senso di equivalente specchiamento; ma come brama e speranza «l'altro»
segnalato dalla poesia resta. Resta tutto intero, irriducibile, ancorato
alle origini che il mito, appunto, manifesta. Del resto, che l'arte,
e in particolare la pittura, sia una delle forme del mito lo dimostra
la sua efficacia diretta nel rappresentare l'intenzione e l'atto creativo.
La pittura è «erotica, eretica, errante», secondo
la splendida formula di Osvaldo Licini, che definisce così
se stesso ma per estensione la pittura, almeno una certa pittura:
i numerosi interventi di Andrea Balzola, che dal '90 al '94 diventa
l'accompagnatore stabile della rassegna, commentando i miti di Eros
('90), Prometeo ('91), Persefone ('92), Pandora ('93), Perseo ('94),
lo dimostrano sistematicamente. Eros sovrintende la creazione prima
e tutte le creazioni ulteriori o metamorfosi che siano, sintesi come
è degli opposti maschile e femminile, ma anche mediatore tra
dei e uomini, cielo e terra, luce e tenebra.... La pittura porterebbe
fin dentro il nostro mondo laico la sintesi del «principio di
piacere e fecondità con un principio di distruzione e morte».
«Nello specchio di Eros può riconoscersi l'artista nella
sua generalità di artefice dell'opera, ma anche ciascun artista
nella sua irriducibile singolarità (...). L'artista unisce
le materie, riempie spazi e superfici, porta alla manifestazione o
riproduce figure di mondi invisibili o sensibili (...). Ogni artista
è figlio di una visione di Eros. Una visione che consegna nell'opera
l'utopia di una ricongiunzione (a se stessi, all'altro, al mondo:
vocazione all'Uno).... Ciò che distingue un lavoro dall'opera
è proprio l'investimento di eros a quest'ultima necessario»
(A. Balzola 1990).
L'eresia è ulteriore carattere della pittura: Prometeo nel
mito ruba il fuoco agli dei e lo regala agli uomini/ i quali da esso
apprendono innumerevoli arti, cioè di abilità operative
e inventive. La pittura (l'atto creativo) perpetua il mitoraccogliendone
gli insegnamenti che, nella sintesi di Balzola, sono almeno tré:
- la ribellione al potere costituito, vissuta come esperienza anarchica
o come prova di consapevole e generosa libertà;
- la genialità, come abbandono all'ispirazione e invenzione
avventurosa;
- la (pre) visione, cioè la capacità di rovesciare l'evidenza
e di scoprire e attivare il nascosto, l'invisibile, l'ignoto portandolo
alla chiarezza, alla lucentezza della forma e della bellezza, o sul
baratro del sublime.
Da ultimo, ì'erranza. I miti di Persefone, Pandora, Perseo
segnalano tré forme del viaggio, sempre tra vita e morte, fra
tenebra e luce, tra luce, chiara e chiarificatrice, e abbacinamento.
Viaggi, quelli di Persefone e di Pandora, che comportano sottrazione
e dono ad un tempo, traviamento e redenzione come compete al femminile.
Discese dolorose e resurrezioni, l'attraversamento di un limite, che
nella pittura è l'indecifrabile enigma presupposto a qualsiasi
manifestazione, per non dire del pericolo che accompagna ogni forma
di seduzione data o subita. Ma non esiste scoperta senza desiderio
e seduzione: desiderio e seduzione, che possono essere distruttivi,
sono anche il fondamento dell'atto positivo della creazione.
marzo 2000 (continua)
Pino mantovani